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Hugo Chavez senza maschera

di Rita Bettaglio - 12 marzo 2004

Il Venezuela, il più antico Stato democratico dell'America Latina, è sull'orlo di una guerra civile e la situazione si fa ogni giorno più incandescente. Il sangue è già cominciato a scorrere e si parla di dieci manifestanti pacifici uccisi, 1200 feriti e più di 400 detenuti, sottoposti a tortura. Tutto ciò ad opera del presidente Hugo Chavez e della Guardia Nazionale che stanno tentando di reprimere nel sangue la giusta protesta di milioni di venezuelani. Ma andiamo con ordine.

I venezuelani, che per l'82% hanno sentimenti filoamericani (a differenza del loro presidente), non tollerando più il regime dispotico di Chavez, alter ego di Fidel Castro, hanno raccolto 3,4 milioni di firme per indire un referendum che rigetti l'attuale nefasto governo. La costituzione venezuelana permette di presentare una petizione per far dimettere il presidente a metà del suo mandato di sei anni. In base a ciò, alla fine di dicembre 2003 sono stati raccolti i 3,4 milioni di firme, sottoposte al Consiglio Elettorale Nazionale (CNE), composto da 5 membri, ma completamente manovrato dal presidente. Secondo la legge erano sufficienti 2,4 milioni di firme. Il Consiglio, con una mossa inaudita, ha introdotto nuove regole: il 24 febbraio 2004 il CNE ha comunicato che i dati personali, come l'indirizzo, scritti da persona diversa dal firmatario, invalidavano la firma. Così il numero di firme valide scendeva a 1,8 milioni: insufficiente, quindi, per il referendum. Come già detto, le proteste pacifiche dei venezuelani sono state soffocate nel sangue.

L'agenzia Zenit ha diffuso, il 9 marzo, il comunicato dell'arcidiocesi di Maracaibo, datato 4 marzo, in cui l'arcivescovo Ubaldo R. Santana Sequela si dichiara molto preoccupato della violenza con cui la Guardia Nazionale ha tratto in arresto un gruppo di studenti e professori dell'Università Cattolica Cecilio Acosta (UNICA). La stessa agenzia pubblica in lingua spagnola la dichiarazione della Conferenza Episcopale Venezuelana del 3 marzo: l'episcopato venezuelano condanna apertamente la violenza ed il comportamento del CNE, cui imputa il sovvertimento dei principi etici e legali.

Per capire come la più antica democrazia del Sud America versi ora in uno stato ci profonda crisi, bisogna anzitutto capire l'ascesa al potere di Chavez. Hugo Chavez Friars, classe 1954, venezuelano, figlio di un insegnante, colonnello dell'esercito, partecipò nel 1992 ad un fallito colpo di stato. Arrestato, venne graziato nel 1994 e cominciò subito a lavorare per raggiungere al più presto il potere. Apertamente marxista, populista, amico ed emulo di Fidel Castro e, come vedremo, finanziatore del terrorismo internazionale, fomentò una massiccia campagna contro la supposta corruzione del potere politico, contro l'asserito eccessivo liberalismo economico e, naturalmente, contro la presunta personificazione di tutto ciò, cioè gli Stati Uniti d'America. Questo mix di verità apparenti e menzogne inculcate ad arte, come nella più classica strategia comunista, gli guadagnò l'elezione a presidente nel 1998.

Eletto democraticamente, ma non democratico, Chavez, raggiunto il potere, si mise al lavoro per assicurarsi di non perderlo più: redasse una nuova Costituzione, abolì il senato e revocò il quarantennale divieto di rielezione per il presidente. Nelle scuole pubbliche e private diede il via ad un programma di "bolivarismo", un misto di marxismo, nazionalismo e propaganda sciovinista. La nuova Costituzione dichiarava la menzogna verso il governo un reato federale ma, ovviamente, era lo stesso governo a stabilire cosa doveva essere considerato "menzogna". Inoltre una legge dava potere al presidente di sospendere i programmi radiofonici e televisivi che danneggiassero gli interessi nazionali. Ma gli interessi nazionali erano e sono diametralmente opposti a quelli di Chavez.

Durante i primi 2 anni di governo, l'amministrazione USA fece poco per protestare per questi abusi. Il presidente Clinton, infatti, secondo Jim Steinberg (vice consigliere per la sicurezza nazionale durante l'amministrazione Clinton ed attuale direttore di Foreign Policy Studies presso la Brookings Institution) «pensava che avremmo dovuto andargli incontro, lavorare per tirare fuori il meglio da lui e rinforzare gli aspetti positivi». Insomma, una sorta di virtuosa maieutica, se non fosse stato che il pargolo in questione se l'intendeva non solo con Castro, ma con Bin Laden, Saddam Hussein, Gheddafi e via dicendo.

Juan Diaz Castello, maggiore dell'aeronautica venezuelana, ora tra i più convinti oppositori di Chavez, ha dichiarato che il presidente mandava a Cuba i membri dei gruppi armati noti come "Circoli Bolivariani", per l'addestramento e l'indottrinamento ideologico. Nella repubblica Bolivariana del Venezuela sono operativi centinaia di attivisti cubani, ufficialmente "allenatori sportivi", che addestrano i membri dei Circoli Bolivariani, la milizia privata al soldo del presidente. Inoltre Chavez forniva armi e denaro alla guerriglia marxista nella vicina Colombia. Il governo colombiano ha dichiarato che il capo del gruppo terroristico FARC, Manual Marulanda, si nasconderebbe in Venezuela, con l'appoggio di Chavez.

Ma non è tutto. Diaz, in una conferenza stampa a Miami ai primi di gennaio del 2003, ha raccontato che, pochi giorni dopo l'11 settembre 2001, Chavez lo incaricò di organizzare, coordinare ed eseguire un'operazione riservata per fornire fondi al regime talebano per supportare Al Qaeda. Si trattava di un milione di dollari. Il primo tentativo fallì, ma alla fine di settembre ricevevano 100mila dollari in aiuti umanitari. Il resto, 900mila dollari, andò ad Al Qaeda. Il British Mail disse che sull'isola Margarita in Venezuela operava un campo d'addestramento di Al Qaeda. Inoltre Chavez ha stretti rapporti con Evo Morales, leader boliviano del narcotraffico e tra i responsabili del rovesciamento del presidente della Bolivia Gonzalo Sanchez de Lozada nell'ottobre 2003.

Come se non bastasse, l'economia venezuelana è in ginocchio, la moneta nazionale, il bolivar (quella di Simon Bolivar è un'ossessione per il Venezuela), lo scorso anno è scesa del 25% sul dollaro, dal momento in cui il governo ha istituito controlli sul tasso di scambio. Non basta più neppure il petrolio, di cui il Venezuela è il quinto esportatore nel mondo. Finché la ricchezza e le risorse materiali ed umane rimarranno in ostaggio del delirante Chavez, non ci sarà futuro per il Venezuela.

Non sono stati la troppa globalizzazione né il troppo liberalismo economico la rovina del paese, ma l'incapacità e la deriva marxista, statalista ed autoritaria di Chavez. I venezuelani meritano qualcosa di meglio.

bettaglio@ragionpolitica.it



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